La società
«The sixties: they will never come again». Questa frase di un giovane scozzese mentre governa il roseto nel suo castellotto è la perfetta sintesi del tutto.
«Peccato essere lontani da Londra», sospira. Difficile dargli torto, in retrospettiva, anche per l’Italia. Non sappiamo dire se quegli anni sono stati “formidabili”, certo hanno lasciato un segno, sotto diversi aspetti. Alcuni esempi.
L’istruzione diventa luogo di confronto politico, Nazionale e locale. Una timida riforma apre le porte dell’università – fino ad allora riservata ai liceali – ai diplomati degli istituti industriali e in seguito (1969) a tutti i diplomati di scuole quinquennali. È l’epoca delle grandi assemblee e delle grandi manifestazioni. Niente negli atenei è più come prima, Ma non solo manifestazioni: gli studenti delle università milanesi si muovono tempestivamente in occasione dell’alluvione di Firenze (1966) e poco dopo in aiuto delle popolazioni colpite dal terremoto del Belice (1968).
Gli studenti “scoprono” gli operai, le loro rivendicazioni e le loro lotte. il mondo della fabbrica, fino ad allora sconosciuto, si apre: il volantinaggio ai cancelli (Alfa Romeo e Pirelli, ma anche piccole imprese) aiuta la comunicazione. La cultura vive i suoi scossoni: alla Camera del Lavoro, “Mistero buffo” di Dario Fo sorprende
e affascina. L’ordinamento regionale si fa strada: anche qui grandi attese di cambiamento alimentate da una persona carismatica, Piero Bassetti. Prende avvio il sistema informatico regionale, che diventerà la struttura di servizio della sanità lombarda. Come pure vengono disegnati i distretti scolastici, primo passo per un decentramento della gestione e della partecipazione. La psichiatria di settore ha il suo centro propulsore a Parabiago.
A Milano, La città investe sul sistema di trasporto. la metropolitana si estende, serve sempre più aree: 12,5 km di rete agli inizi e 18,8 km alla soglia degli anni ’70 ma i tram rimangono in pista, spesso “bucando” un muro di nebbia fitta (15 giorni al mese).
La linea 25 (interstazionale) ha una cassetta postale vicino alla porta anteriore.
E poi la grande immigrazione dal Sud. La popolazione del capoluogo in vent’anni (1951-1971) aumenta di oltre 450.000 unità, passando da 1.275.726 a 1.733.490 abitanti e nel suo insieme la provincia passa da 2.505.153 a 3.903.685 residenti nello stesso intervallo.
Il costo della vita? 43mila lire per un posto in pensionato universitario, 120mila lo stipendio di un insegnante, un caffè, 70 lire. Non tutto buono, men che meno perfetto.
Ma sarebbe ingeneroso e forse ingiusto non riconoscere che quegli eventi hanno aperto la strada a cambiamenti rilevanti negli anni successivi.