L’organizzazione del lavoro
I primi tentativi del sindacato di condizionare l’organizzazione del lavoro di fabbrica attraverso la contrattazione collettiva, partono con la vertenza degli elettromeccanici milanesi del 1960-61.
In questo periodo si generalizza l’importazione dagli USA di metodi e tecnologie di produzione: la cosiddetta Organizzazione scientifica del Lavoro (OsL) dell’ingegnere americano Frederick W. Taylor, che prevede la scomposizione e meccanizzazione delle attività lavorative in operazioni elementari, eseguite in modo ripetitivo,
con sempre maggiore rapidità e destrezza e nel minore tempo possibile. Per incrementare la produttività dell’operaio viene perfezionato il sistema di incentivo con l’introduzione del cottimo differenziale incrementale. Questo sistema consiste in una tariffa-premio superiore e in una penalizzante inferiore sulla base di una media standard che prevede che la tariffa per ogni pezzo prodotto aumenti quando incrementa il ritmo di lavoro dell’operaio, ma introduce decurtazioni e multe se non viene raggiunta la soglia standard calcolata attraverso il cronometraggio delle singole operazioni. Il tempista, insieme al cosiddetto “operaio massa”, cioè dequalificato e intercambiabile, sono le figure emblematiche di questo periodo.
Nel corso degli anni ‘60 si diffonde anche in italia l’introduzione delle catene di montaggio: un nastro trasportatore fornisce all’operaio, fermo nella sua postazione di lavoro, il pezzo da lavorare.
È il rivoluzionario metodo di produzione introdotto da Henry Ford. Queste soluzioni organizzative, note come ”modello americano”, “fordista”, o “di produzione di massa”, vengono progettate per produrre in serie beni
in quantità enormi a costi decrescenti. Si fondano sull’uso generalizzato delle macchine utensili automatiche e sulla concezione della produzione a flusso continuo, senza interruzioni, per un periodo indeterminato.
Tuttavia alcuni presupposti originari cominciano a venire trasformati: alla massima intensificazione del lavoro del singolo si aggiunge la pressione indiscriminata sul lavoro collettivo, aumentando i ritmi di lavoro della fabbrica ora concepita come un tutt’uno e non come una somma di reparti indipendenti.