La strage di Piazza Fontana
Erano le 16,30 del 12 dicembre del 1969. Nell’atrio della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano scoppia una bomba ad alto potenziale. Muoiono 17 persone, 88 rimangono ferite.
La strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 viene considerata l’inizio di quella che sarebbe stata definita la “strategia della tensione”.
Il 13 dicembre mentre tutti i giornali, la televisione e le trasmissioni radiofoniche forniscono notizie sulla strage del giorno precedente, il giornale della Confindustria, “Il Globo”, apre la prima pagina con il telegramma del Presidente Costa al Presidente della Repubblica Saragat “Allarme e sconforto degli industriali per le norme dello Statuto dei lavoratori“ e colloca solo di spalla ad una colonna “Attentati a Milano e a Roma con 14 morti e più di 100 feriti.” La scelta del quotidiano economico indica con chiarezza il quadro sociale e politico nel quale maturò la strage e gli obiettivi di quelle bombe: fermare gli scioperi e le conquiste dell’Autunno caldo e spiega perché non si è mai arrivati alla verità.
Le indagini si avviano immediatamente. L’inchiesta viene assegnata alla Procura di Roma, nonostante il conflitto di competenza sollevato dalla difesa di Pietro Valpreda, il principale imputato della “pista anarchica”, da subito tenacemente perseguita dagli uffici incaricati delle indagini che sono alla base della prima istruttoria, indagini di cui è vittima innocente il ferroviere Giuseppe Pinelli, morto il 15 dicembre 1969 precipitando dalla finestra della Questura di Milano.
Solo successivamente, le indagini si concentrano su alcuni esponenti del gruppo padovano dell’organizzazione di estrema destra ”Ordine nuovo” e coinvolgono esponenti di spicco dei servizi segreti.
La strage di Piazza Fontana segnò profondamente il nostro Paese e, a distanza di cinquant’anni, una verità piena e conclusiva non è ancora stata raggiunta.